Dal vimini al legno percorso storico delle culle classiche
Quando si parla di classico, così come in storia o in letteratura, è bene anche ampliare il discorso a tutto lo scibile umano. Così affrontare il tema culle classiche nella storia sembra un buon punto di partenza per capire in che modo, agli albori dell’umanità, le mamme si prendessero cura dei propri neonati e del loro sonno. Il bambino dei tempi passati soffriva di insonnia, era molto disturbato per i dolori provocati dalle coliche, dalle otiti, dallo scorbuto e da tutte quelle affezioni dolorose per le quali non esistevano ancora efficaci rimedi. Inoltre era infastidito dalla fasce troppo strette, dallo sporco o dal bagnato dei suoi bisogni corporali che ristagnavano per ore a contatto della sua pelle delicata. La donna non poteva fare altro che consolarlo e calmarlo con il sussurro delle filastrocche, con il canto delle ninnananne, ma soprattutto con il dolce dondolio della culla. Il dolce dondolio della culla: favorevoli o contrari. E allora le donne dondolavano la culla dei bambini, giorno e notte.
Non si poteva lasciare piangere i bambini perché l’eccessivo pianto, causando eventuali crisi nervose e convulsive, poteva richiamare il diavolo! Ma tutto questo dondolio suscitò, invece, critiche e dissensi: in realtà erano voci di condanna contro l’operato delle balie, accusate di negligenza nei confronti dei loro “baliotti” (i bambini che avevano accettato di allevare ed allattare), ma le accese critiche vertevano sul fatto che il rollio causava problemi digestivi, rendendo acido il latte ingerito, e problemi al tenero cervello.
C’era chi, invece, esprimeva parere favorevole: il dondolamento della culla era per i bambini un’esperienza positiva perché riproduceva la sensazione fetale da loro vissuta nel grembo materno. Comunque sia, il bambino non poteva andare avanti ancora per molto così fermo immobile, completamente fasciato come una mummia, legato alla sua culla come in un sarcofago e dondolato giorno e notte. Ormai le idee rivoluzionarie di Jean Jacques Rousseau facevano proseliti: i bambini dovevano sgambettare all’aria aperta, finalmente liberati dalla tortura delle fasce e dal dondolio eccessivo della culla. Ma fu l’Ottocento, secolo di severità e disciplina, che condannò duramente questa usanza ritenendola “intollerabile schiavitù nella quale erano cadute vittima i genitori”.
La migliore culla era quella che non poteva essere dondolata! Stretto con le cinghie o sospeso sopra il letto Ma per i genitori la culla rappresentava un luogo sicuro e caldo, era come una conchiglia protettiva per i loro figli, che doveva essere dipinta scaramanticamente in rosso, decorata con soggetti religiosi come croci o angeli, addobbata con oggetti protettivi: immaginette di santi, corni, fiocchi, pezzi di ebano o ferro per allontanare la eventuale temuta presenza del diavolo.
Comunque oltre la paura dell’ignoto, c’erano anche molti rischi che incombevano sui neonati: la caduta dalla culla, gli attacchi da parte di animali selvatici, bisce e serpenti, la possibile morte per incendio. Per evitare simili guai, la culla era normalmente dotata di un sistema di buchi o di maniglie per far passare lacci o cinghie che dovevano legare il neonato, non doveva mai essere lasciata incustodita appoggiata sul pavimento o sistemata accanto al fuoco.
In realtà le culle era utilizzate principalmente di giorno, perché di notte le madri mettevano il bambino ( a volte anche la culla) nel letto con loro per controllarne il sonno, per tenerlo al caldo, per allattarlo; oppure posizionavano la culla accanto o addirittura incastrata tra i letti, o appesa al soffitto in modo che con un semplice gesto della mano o del piede potesse essere dondolata. Ma l’usanza di mettere il bambino nel letto insieme agli adulti aveva incontrato l’interdizione da parte della Chiesa che accusava tale abitudine di provocare la morte dei neonati per soffocamento.
Dalla mangiatoia al meccanismo a tempo
Ma se le procedure per evitare il malocchio o le malattie erano pressoché uguali, la culla cambiava da regione a regione e a seconda del ceto sociale delle famiglie. C’erano le culle fatte tipo mangiatoia, ricavate da mezzo tronco d’albero oppure quelle a forma di scatola (box) composte da varie assi di legno e sospesa a due aste, oppure in vimini con capote incorporata. Erano costruite in modo da essere maneggevoli e leggere per essere spostate e portate fuori quando ad esempio si andava a lavorare i campi. Erano addirittura appoggiate e legate alle spalle come gerle, usando per lo scopo anche mezzi barili di legno dentro i quali i bambini fasciati erano sistemati. Infatti la fasciatura così stretta permetteva il trasporto e lo spostamento facile e veloce del neonato. La maggioranza poggiavano su traversine di legno ricurve che permettevano il dondolamento della culla (culle basculanti): c’erano due versioni di dondolio: uno verso il lato più corto della culla (tipo francese) e quello verso il lato più lungo (tipo italiano).
Esistevano in Toscana anche delle culle a rotelle. I legni maggiormente utilizzati erano quello di pino, di larice, di cipresso, perché più facili da reperibile e da lavorare, e poi resistenti ad assorbire le urine e naturalmente profumati. L’ebano scuro, usato per le ricche culle aristocratiche, aveva un valore protettivo: il colore scuro allontanava la paura del buio e per questo un pezzetto di ebano scuro veniva appeso sulla culla di tutti i bambini. Ma il legno presentava il rischio di essere infestato da pulci o da altri indesiderati ospiti. E allora dapprima fu consigliato l’uso del vimini che consentiva anche una buona aerazione all’interno della culla, ma in seguito fu caldeggiata la struttura in metallo che poteva essere lavata e disinfettata. Ma comunque sia la dolce e premurosa mamma cullava e dondolava la culla, anche se all’orizzonte apparivano i primi segnali dello sviluppo dell’era moderna: nel primo quarto dell’Ottocento si ebbe notizia di una culla che dondolava automaticamente con regolarità e delicatezza.